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Durante gli anni Trenta andare al cinema con Mussolini č una scelta di italianitŕ. Non importa se č un film militante alla Blasetti o una commedia alla Camerini, se si canta Giovinezza Giovinezza o Parlami d'amore Mariů, se i protagonisti indossano la camicia nera quella bianca dello smoking: tutti, credenti e agnostici, fascisti e non fascisti, collaborano a creare l'immagine di una nuova Italia che si sta trasformando in societŕ di massa. L'ottimismo nel presente e la speranza nel futuro animano sia l'eroe aviatorio che il fattorino dei grandi magazzini, sia il combattente etico che il giovane scanzonato. Alla fine degli anni Venti il Fascismo č fatto, ora bisogna fare l'Italia fascista: il cinema, assieme ad altri media, partecipa alla elaborazione di un immaginario che deve essere attuale e insieme ispirato al genio italico. L'impegno del regime, durante gli anni Trenta, č quello di far coincidere l'identitŕ italiana con l'identitŕ fascista, "moderna" e "rivoluzionaria". I film nazionali si collocano sull'ambiguo confine tra queste due identitŕ, tra propaganda esplicita e apparente disimpegno, tra collaborazionismo e fiancheggiamento, tra organicitŕ e presa di distanza tattica. Ma sullo schermo del regime tutto si tiene strategicamente, in una iconografěa di celluloide che coinvolge Scipione l'Africano e De Sica, Garibaldi e Amedeo Nazzari, Casta Diva e Mille lire al mese, Ettore Fieramosca e Macario, l'Impero e Totň.