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Et in Arcadia ego: da sempre onnipresente - anche negli spazi apparentemente piů idillici - la morte, una volta per tutte resasi esplicita nella filosofia greca come annientamento, č dichiaratamente alla radice dell'arte (e della cultura) novecentesca: "tutta l'arte č in rapporto con la morte" (M. Rothko). Il punto medio di questo saggio - in cui č centrato il raccordo fra la prima parte (che ha come oggetto un capolavoro letterario) e la seconda, assai piů estesa, dedicata alla pittura - č rappresentato dalla figura di Tadzio, il bellissimo efebo, nella cui persona fanno naufragio le convinzioni etico-estetiche dello scrittore Gustav von Aschenbach (i due celebri protagonisti di La morte a Venezia di Thomas Mann, summa - tanto sintetica e potente, quanto sfolgorante e indimenticabile - della crisi mortale della cultura occidentale e dei suoi valori). La mostruositŕ di Tadzio (e per converso e parallelamente di Aschenbach) č la terribile rivelazione che apre l'indagine sul senso del Bello nell'arte figurativa del Novecento, attraversando i grandi campi in cui essa si articola, a partire da Monet (che dŕ il via, come scrive Boccioni, al "grande distacco"), fino a Newman, Pollock e Warhol, passando, tra gli altri, da Van Gogh, Matisse e Kandinskij. In tal guisa mostrando che la pittura (che č a suo modo pensiero) proprio perciň č ontologia: filosofia per immagini. Prefazione di Emanuele Severino.
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