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Nel 1971 il "New York Times" pubblicň alcuni stralci dei Pentagon Papers, documenti segreti del Dipartimento della difesa relativi all'impegno americano nel sud-est asiatico dal dopoguerra alla fine degli anni sessanta. Lo scandalo al cuore di quella pubblicazione - che precedette di poco la celebre infrazione al Watergate Building, e che inaugurň la grave crisi di legittimitŕ che caratterizzň la presidenza di Richard Nixon - riguardava l'ammissione, da parte degli esperti del Pentagono, dell'assoluta inutilitŕ strategica dell'impegno americano in Vietnam. Che questa ammissione, nota ormai da anni ai piů, venisse addirittura riconosciuta - e tenuta segreta - dai governanti statunitensi fu motivo di profonda indignazione nella pubblica opinione. A partire da queste premesse, Hannah Arendt, nel saggio qui proposto in nuova traduzione, riflette sul rapporto fra politica e menzogna. Il saggio, uscito nel 1972 sulla "New York Review of Books", prende in esame le affinitŕ e le differenze fra la menzogna tradizionale - il mentire per ragion di Stato - e la deliberata falsificazione dei fatti per ragioni di "immagine" o di "reputazione". Ben oltre una mera ricognizione sui metodi pubblicitari, manipolatori del consenso e della pubblica opinione, all'opera nelle moderne democrazie di massa, il saggio di Arendt offre una profonda e originale riflessione sulla natura della politica e il suo rapporto con la veritŕ.
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