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Al centro di questo "racconto fotografico" di Georges Didi-Huberman c'č il lavoro dello sguardo, sollecitato e messo alla prova proprio dove sembrerebbe non esserci piů niente da vedere e nessuna immagine ancora disponibile a sign ... more
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Al centro di questo "racconto fotografico" di Georges Didi-Huberman c'č il lavoro dello sguardo, sollecitato e messo alla prova proprio dove sembrerebbe non esserci piů niente da vedere e nessuna immagine ancora disponibile a significare: il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, in cui la tragedia della storia pare aver annientato, oltre ai segni di vita, anche le parole per raccontare. Quello che č visibile č oggi ridotto a un "museo della memoria" pronto all'uso - con i suoi "allestimenti", apparati didascalici, ricostruzioni, segnaletiche che accerchiano lo sguardo. Eppure, scavando come un archeologo alla ricerca di tracce sparse e accidentali, l'autore scopre, attraverso e dentro le immagini che ha scattato, come la superficie parli del fondo. Le scorze di una betulla di Birkenau o il pavimento spaccato di una baracca sono "residui" o fenditure nella materia del presente che mettono a nudo pezzi di memoria, frammenti che ancora ci interpellano: segni fragili e tenaci come interrogazioni, come "le lettere di una scrittura che precede ogni alfabeto".
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